Alcuni dei testimoni di cui è possibile ascoltare la storia nel corso.
Un corso che serviva
Perché oggi, 75 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, la maggior parte dei sopravvissuti ai campi di concentramento non è più con noi. Questo, pur rispondendo a un ciclo “normale” di vita umana, è tuttavia irto di conseguenze per il discorso pubblico memoriale italiano, proprio a causa del complesso rapporto esistente tra la memoria dei sopravvissuti e la narrativa storica “ufficiale” e richiede uno sforzo ulteriore per progettare una nuova dimensione di didattica e di diffusione delle testimonianze dei sopravvissuti che possa continuare ad avere incisività.
Un frame del corso.
Un corso che mancava
Degli orrori dei campi di concentramento si parla moltissimo, del genocidio ebraico anche di più, ogni 27 gennaio il mondo si ferma nel ricordo delle vittime delle persecuzioni nazifasciste. Troppo spesso però ci troviamo di fronte a una narrazione che si ferma solo sull’aspetto emotivo: la commemorazione si focalizza sulle testimonianze degli orrori subiti dai deportati, tralasciando la riflessione sul contesto sociale e politico in cui le deportazioni vennero ideate e portate avanti, delegando questo argomento solo al momento previsto dal programma di storia, programma che non in tutti i contesti scolastici è affrontato a dovere. Il nostro corso si inserisce e cerca di colmare questa mancanza dotando i partecipanti di tutti quegli strumenti che sono necessari per comprendere il complesso processo che ha portato ai campi di concentramento e sterminio, alla loro sistematizzazione e le conseguenze ancora presenti nell’oggi.
Durante le riprese del corso
Perché un corso on line?
Oggi la didattica per cause di forza maggiore ha dovuto fare i conti con la digitalizzazione dell’insegnamento. Questo corso è nato ben prima di questo ripensamento forzato: siamo infatti convinti che il web sia uno strumento come gli altri e che come tale deve essere conosciuto per comprenderne i limiti e le potenzialità. Ignorare e trascurare questi media, non educarsi (prima ancora che educare) all’uso delle nuove forme di comunicazione è una perdita di opportunità e un pericoloso errore, che può condannarci al silenzio nell’immediato futuro.
Per saperne di più, in questo articolo abbiamo pensato di raccontare il processo di realizzazione del corso.
ISCRIVITI AL CORSO
Per iscriversi al corso basta registrarsi sulla piattaforma Eduopen, la piattaforma universitaria lanciata dal Ministero dell’istruzione, e cliccare qui:
In occasione della chiusura del progetto FREE – No Future Without Remembrance, saremo parte di una due giorni dedicata alla memoria delle deportazioni nazifasciste e all’attualizzazione del passaggio di testimone tra generazioni.
Diremo cose scomode. Scomode per la retorica ipocrita del politically correct, ma scomode anche per molti nostri amici che, impegnati nell’antifascismo e nella difesa della memoria storica dei crimini nazisti, accettano con troppa superficialità quello che potrebbe apparire un aiuto da parte della legge.
Ci stiamo riferendo al tanto discusso reato penale di negazionismo, approvato alla Camera l’8 giugno scorso e che, nel silenzio generale, si appresta a completare il proprio iter parlamentare al Senato. Chiariamo subito la nostra posizione: noi, antifascisti nel DNA, siamo fermamente contrari alla proposta di legge che punisce la negazione del genocidio ebraico da parte del regime hitleriano e non solo; nel testo infatti leggiamo che la legge condanna con il carcere
“da due a sei anni” la propaganda, l’istigazione o l’incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, quando gli stessi sono fondati “in tutto o in parte sulla negazione della Shoah, o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra.” Specifichiamo, per completezza, che per quanto riguarda ciò che è da considerare crimine di guerra, contro l’umanità o di genocidio le fonti sono le sentenze emesse dal Tribunale internazionale dell’Aja. (Fonte)
Non crediamo e non abbiamo mai creduto che storia e giurisprudenza possano essere alleate. Abbiamo sempre rifiutato l’istituzione del Tribunale della Storia, che vorrebbe la disciplina finalizzata al giudizio morale circa presunte colpe e crimini. Compito della storia, come ben diceva uno dei padri della rivoluzione storiografica del Novecento, non è giudicare o descrivere, ma spiegare in profondità.[1] E già in questo troviamo una differenza essenziale tra ricerca storica e indagine processuale, che ne rende impossibile la coincidenza. Troppo spesso dietro legislazioni inerenti la memoria storica troviamo di fatto interessi politici, che rispondono a esigenze del momento. Ecco che l’uso pubblico della storia degenera in abuso politico e in ingerenza della politica nella storiografia.
In secondo luogo, è estremamente pericoloso emettere giudizi legali su quelle che sono a tutti gli effetti opinioni storiche, per quanto aberranti e da combattere. L’Italia non è l’unico paese in cui si è sviluppato un dibattito riguardo la legislazione anti negazionista; in molti stati europei sono state approvate leggi che prevedono la condanna penale di affermazioni, pubblicazioni, eventi considerati appunto negazionisti. La Francia, da questo punto di vista, è il paese che ha mostrato la tendenza peggiore: dal 2001 al 2006 sono state prodotte leggi che penalizzano la negazione del genocidio armeno (l. 1/01) e della schiavitù (legge Taubira), considerata dalla legislazione francese un crimine contro l’umanità che non può essere negato. Nello stesso periodo viene approvata anche la legge Mekachera, il 23 febbraio 2005, che però imponeva agli insegnanti di valorizzare il ruolo positivo del colonialismo francese in Africa del Nord e Indocina.[2]
Si possono citare altri esempi: la legge tedesca di recente approvazione sul genocidio armeno; le legislazioni dell’Europa orientale (Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia) del 2007/08 riguardo i crimini dei regimi comunisti; la pluridecennale giurisprudenza turca di negazione dell’esistenza storica delle minoranze interne (in particolare i curdi); le leggi spagnole, figlie del pacto del olvido post-franchista, che proibivano di parlare della Guerra civile spagnola e, conseguentemente, colpire i segni del passato regime (toponomastica, monumenti celebrativi, libri di testo); le sanzioni previste in Portogallo e Israele contro la negazione di qualunque genocidio, mentre Scandinavia, Svizzera, Slovacchia, Nuova Zelanda, Lituania, Australia includono anche il cosiddetto riduzionismo tra le opinioni da punire. Il paradosso è che, parallelamente a queste legislazioni, in molti dei paesi citati assistiamo alla tendenza opposta di imporre la rivalutazione storica positiva dei propri crimini passati (con conseguente corollario di penalizzazioni e discriminazioni a quegli storici o ricercatori che non si adeguano agli standard ministeriali), come ad esempio l’Australia. E anche qui in Italia, sebbene più silenziosamente, assistiamo a un fenomeno simile per quanto riguarda la ricostruzione addolcita del colonialismo italiano in Africa orientale.[3]
Di fronte a tutto questo, è secondo noi evidente che la presunta mano tesa dalla politica e dalla Legge alla memoria antifascista e antinazista è un cavallo di Troia che rischia di aprire la strada a orrori storico-legislativi ben peggiori. Non solo: effetti collaterali possono benissimo essere quelli di andare a colpire anche quegli storici sinceramente democratici e laici che, superando il complesso di colpa originario riguardo la Shoah, su cui si è fondata la Comunità europea, hanno affermato ricerca storica alla mano l’impossibilità di riconoscere il genocidio nazista degli ebrei come un unicum: essa, come ha affermato lo storico francese G. Bensoussan, può essere definita come una storia senza precedenti, ma non senza radici. La presunta “classifica degli orrori e dei genocidi” non potrà mai essere fondata su una storiografia degna di questo nome.
Dal punto di vista dello storico, il neofascismo e il suo ridicolo negazionismo si combattono solo in due modi: con il contrasto culturale nelle scuole, fondato su un uso pubblico della Storia capace di insegnare il ragionamento critico fin dalla tenera età; con la capacità di reinventare un nuovo contratto sociale, fondato sulla capacità di riconoscere la falsità storica di qualunque idea di razza e omogeneità etnico-culturale.
Ma, lasciatecelo dire, i pericoli più grandi sono altri. Il revival etnico, più profondo e nazionalpopolare rispetto alle nicchie dell’estrema destra, alimentato da una crisi globale che aumenta sempre più la percezione della decadenza e della corruzione culturale da parte delle impaurite opinioni pubbliche occidentali; collegato a questo, l’eterno eurocentrismo giustificato attraverso il già citato revisionismo e occultamento storico non solo dei nostri passati (e presenti) colonialisti, ma anche dei meccanismi di razzializzazione da sempre alla base della civiltà europea. La questione ebraica non l’ha inventata Hitler, così come la sistematicità nell’assoggettamento e nello sterminio dell’altro.[4]
In questo, la giurisprudenza non ci potrà mai essere alleata. Solo la ricerca storica, sostenuta da una corretta metodologia e capacità di analisi scientifica, può affrontare la crisi della nostra epoca e aiutare a comprendere la complessità del presente. Le legislazioni sulle opinioni storiche, per ogni negazionista colpito, tagliano le gambe alla ricerca sociale e scientifica, fondamento ultimo della libertà di espressione e di critica. Dietro ogni parola di questi reati penali non possiamo non scorgere l’ombra di una censura di più vasta portata.
Elio Catania, Associazione Lapsus
[1] F. Braudel, Storia misura del mondo, Il Mulino, Bologna 1998
[2] A. Giannuli, L’abuso pubblico della storia, pp. 119-120, Ugo Guanda Editore, Parma 2009
[3] A questo proposito vi segnaliamo il lavoro svolto dagli autori del documentario If only I were that warrior [Link sito], che abbiamo avuto il piacere di ospitare durante l’iniziativa di presentazione in Università degli Studi di Milano
[4] G. Bensoussan, Genocidio. Una passione europea, Marsilio Editore, Venezia 2009
Lapsus, in collaborazione con il Comune di Sesto S. Giovanni, Ventimilaleghe e Fondazione Cariplo, all’interno del progetto “Oggi, 25 aprile 1945“, promosso in occasione del 70° anniversario della Liberazione presenta
“Raccogli i tuoi ricordi Metti in comune foto, oggetti e testimonianze sulla Resistenza per rendere la memoria un patrimonio collettivo”
Due giornate di “Collection days”
Sabato 11 e sabato 18 aprile 2015
Dalle 15 alle 19, presso la Fondazione Isec di Sesto S. Giovanni
Raccolta e digitalizzazione di foto, oggetti e ricordi del periodo della Resistenza da versare al Comune di Sesto S. Giovanni. Raccogli i tuoi ricordi e mettili in comune!
Dopo la digitalizzazione tutti gli oggetti saranno riconsegnati ai proprietari.
Orari: lunedì 15-19
da martedì a venerdì dalle 9.30-19
sabato 9.30-18
Come partecipare
1) Cerca in casa foto, oggetti, testimonianze legate ad amici o persone care risalenti al periodo della Resistenza
2) Prenota il tuo appuntamento via mail o in biblioteca
3) Partecipa al Collection day secondo la tua prenotazione: i tuoi oggetti verranno scansiti o fotografati da tecnici professionisti
4) Durante la digitalizzazione, rilascia un’intervista ad un giovane studente a cui affidare la storia dei tuoi ricordi e delle persone a cui sono legati: il modo di migliore per rendere la memoria un patrimonio collettivo anche per le giovani generazioni!
5) Tutti i ricordi raccolti andranno a formare un nuovo fondo dell’archivio del Comune di Sesto S. Giovanni
L’iniziativa promossa dall’Associazione Lapsus, associazione di giovani storici nata presso l’Università degli Studi di Milano ed attiva da tempo sul territorio lombardo, fatta propria dal Comune di Sesto S.G. all’interno del progetto “Oggi 25 aprile 1945” e realizzata grazie all’ospitalità ed il supporto della Fondazione Isec, si terrà sabato 11 e sabato 18 aprile, dalle 10 alle 18, presso Villa Mylius, in Piazza delle Tartarughe.
Il progetto prevede di invitare i cittadini a cercare in casa foto, oggetti, testimonianze legate ad amici o persone care risalenti al periodo della Resistenza e metterle in comune, partecipando ad una delle due giornate di raccolta dei ricordi. Le sale di Villa Mylius diventeranno degli “archivi aperti“, in cui i partecipanti, solo su prenotazione, potranno portare i loro ricordi perchè vengano fotografati e digitalizzati da tecnici competenti, rilasciando anche una breve intervista sui protagonisti dei ricordi e degli oggetti consegnati.
Giovedì 27 ottobre ’11
Università Statale di Milano
Via Festa del Perdono 7
ore 14.30, aula 517
Da Ardizzone ad Abba
Milano, tra Guerra fredda e razzismo
Storie di giovani antifascisti
Nel 49° anniversario dell’uccisione di Giovanni Ardizzone, un incontro per riflettere sulle vite di tanti giovani militanti ed antifascisti, uccisi dal 1945 ad oggi.
Durante l’incontro si terrà la presentazione del video: “Volevano cambiare il mondo. Storie di giovani antifascisti” a cura di Lapsus