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Di questo non si parla.

Della libertà di ricerca e dei suoi nemici.

Illustrazione di Luis Quiles

Febbraio. Come ogni febbraio dal 2004, anno di istituzione del Giorno del Ricordo, il dibattito pubblico si infiamma su uno specifico tema: le foibe. Questo è un argomento di cui Laboratorio Lapsus non si è mai occupato direttamente ma come ricercatrici e ricercatori di storia contemporanea abbiamo letto e apprezzato molti lavori di ricerca e di divulgazione svolti da altri, sia come singoli che come gruppi di studio collettivi [ne citiamo uno tra tutti, di agile lettura e alla portata di chiunque].

A febbraio è uscito questo vademecum a cura dell’ Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un prontuario snello, strutturato per FAQ, che risponde ad alcuni quesiti semplici ma non banali sul confine orientale e sulla questione delle foibe. Nelle occasioni di dibattito interno del nostro gruppo abbiamo avuto modo di commentare con entusiasmo questa operazione di divulgazione, che ci è sembrata così ben riuscita, chiara e diretta, per un tema così pesantemente intossicato dal dibattito mediatico.

Stacco. Il 26 marzo il Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha approvato una mozione (la n. 50) che impegna la Giunta e l’assessore competente a

“sospendere ogni contributo finanziario e di qualsiasi altra natura (es. patrocinio, concessione di sale) a beneficio di soggetti pubblici e privati che, direttamente o indirettamente, concorrano con qualunque mezzo o in qualunque modo a diffondere azioni volte a non accettare l’esistenza delle vicende quali le Foibe o l’Esodo ovvero a sminuirne la portata e a negarne la valenza politica”.


Il Consiglio Regionale punta l’indice contro “diversi convegni” che avrebbero sminuito la portata storica dell’evento e accusa esplicitamente l’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea del Friuli Venezia Giulia per aver elaborato e reso pubblico il “Vademecum del Giorno del Ricordo” di cui sopra, perché si sarebbe reso responsabile di “diffondere una versione riduzionista della storia della pulizia etnica perpetrata dai partigiani titini”.

Come Lapsus, avevamo già affrontato l’irrinunciabile distinzione tra ricerca storica e legislazione quando siamo intervenuti nel dibattito sul reato di negazionismo e sulle possibili implicazioni nel campo della ricerca. Abbiamo sempre sostenuto la libertà di ricerca se formulata con una corretta metodologia e capacità di analisi scientifica, perché solo così è possibile affrontare la crisi della nostra epoca e aiutare a comprendere la complessità del presente. La ricerca si fa negli archivi e nelle strade, non nelle aule di tribunale o nelle sale consiliari; questo vale sia per le questioni aperte della storiografia della Resistenza e della Seconda guerra mondiale, della Strategia della tensione e della stagione degli anni Settanta, fino alle ricerche più recenti.

Ancora una volta ci schieriamo saldamente dalla stessa parte, sostenendo e diffondendo l’appello dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.

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