Pochi giorni fa, ci ha lasciati Luciano De Maria.
Luciano fu uno degli autori della famosa rapina di via Osoppo (28 febbraio 1958), rimasta famosa perché fu prelevata una enorme quantità di denaro da un furgone portavalori senza sparare un colpo, e soprattutto perché in qualche modo segnò il canto del cigno della mala milanese “romantica”, la ligera, che stava cedendo il passo, nell’Italia del boom economico, ad una nuova criminalità, per cui la violenza, espressa su vari livelli, non era più un tabù.
Abbiamo conosciuto e ci siamo affezionati a Luciano durante l’intervista fatta per il nostro documentario sulla criminalità milanese, siamo tornati a trovarlo a lavoro concluso e l’abbiamo invitato in università per raccontare la sua straordinaria storia.
Lui, accogliendoci in ogni occasione con grande allegria, disponibilità, e simpatia, ci ha fatto conoscere l’importanza di certi valori di un’epoca ormai lontana, quando si era più umili, “umani”, onesti, “signori”, anche nel delinquere.
Il 12 dicembre 1969 una bomba ad alto potenziale e di certa matrice neofascista esplodeva nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, in piazza Fontana, provocando 17 morti e 84 feriti. Fu l’inizio della Strategia della tensione e il preludio alla stagione del terrorismo e dell’eversione nera in Italia. Nonostante numerosi processi e diverse sentenze, e nonostante, come è ormai risaputo, i colpevoli siano ormai chiaramente individuati, per quella stagione nessuno ha pagato.
L’anniversario della strage di piazza Fontana ricorre quest’anno a pochi giorni dall’ennesima sentenza di assoluzione per un’altra delle stragi neofasciste della strategia della tensione, quella di piazza della Loggia e Brescia.
Come ogni anno, fortunatamente, sono numerose le iniziative che si terranno per il 12 dicembre, per non far cadere nell’oblio il ricordo di quegli anni, ma soprattutto perchè il ricordo non sia fine a se stesso, ma venga attualizzato e connesso con l’Italia che viviamo oggi, dove quello Stato che si macchiava, 41 anni fa, di connivenze e depistaggi, in sostegno agli attentatori, è sempre più in crisi e sull’orlo del baratro.
Conoscere questa storia, significa capire le ragioni dell’oggi.
h 10, sala consiliare del comune di Bresso: “In ricordo di Francesca Dendena, Luigi Passera e Torquato Secci”. Breve lettura. A seguire incontro con Manlio Milani (Casa della Memoria di Brescia), Carlo Arnoldi, Paolo Bolognesi (Associazione familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna). Modera Nicola Biondo(giornalista)
domenica 12 dicembre
h 16.30, Piazza Fontana, cerimonia del comitato permanente antifascista e letture da un libro di Corrado Stajano
h 16.45, discorso del Presidente dell’Associazione Familiari Vittime di Piazza Fontana, Carlo Arnoldi
lunedì 13 dicembre
h 21, Salone Di Vittorio della Camera del Lavoro di Milano (c.so di Porta Vittoria, 43)
tavola rotonda: “Da Piazza Fontana, a Piazza della Loggia e alla Stazione di Bologna. Le stragi, la verità e il ruolo di parti dello Stato”.
ne parlano:
Aldo Giannuli, storico
Mimmo Franzinelli, storico
Guido Salvini, magistrato
Manlio Milani, Presidente Casa della Memoria di Brescia
Federico Sinicato, avvocato di parte civile nei processi per le stragi di Milano e Brescia
Carlo Arnoldi, Presidente dell’Associazione Familiari Vittime di Piazza Fontana
Onorio Rosati, segretario della Camera del lavoro di Milano
Carlo Smuraglia, presidente A.n.p.i. Milano e Provincia
Non riusciamo a trovare molte parole per commentare la sentenza d’assoluzione per tutti gli imputati emessa oggi, 16 novembre 2010, per la strage di Piazza della Loggia a Brescia.
Una sentenza vergognosa. Che distrugge anni e anni di duro lavoro, ricerche, indagini, ma soprattutto verità storiche ormai innegabili, con motivazioni ridicole quanto offensive della memoria delle vittime e dei loro parenti.
Crediamo che più che mai oggi, si sia per l’ennesima volta dimostrato come in questo paese uno dei cancri peggiori riguardi la giustizia. Quella stessa giustizia che da quarant’anni non riesce a trovare e condannare i responsabili di una stagione tragica della storia italiana, che ha segnato nel profondo la storia del nostro paese, mettendone a repentaglio l’assetto democratico. Piazza Fontana, Brescia e potremmo proseguire a lungo, non hanno colpevoli. Oppure li hanno, ma sempre in sentenze o in processi successivi, quando ormai gli imputati non possono più essere perseguiti.
Come si può chiedere a dei giovani di credere in istituzioni di questo genere? Di essere buoni cittadini alla luce di una ingiustizia di Stato perpetrata con puntuale regolarità, ad oscurare tutte le possibili ed infinite ombre che si addensano sulla storia politica, sociale, istituzionale di questo nostro sciagurato paese?
Esprimiamo grande solidarietà ai parenti delle vittime della strage di Piazza della Loggia, che in tutti questi anni non hanno mai smesso di credere nella giustizia e nella possibilità che un giorno, finalmente, si arrivasse ad avere delle risposte giudiziariamente inoppugnabili.
Non è stato così, nemmeno questa volta.
E allora non ci resta che impegnarci perchè, attraverso il grande lavoro di ricerca, studio, indagine, che ha permesso comunque in questi anni di ricostruire una verità storica inoppuganbile ed indiscutibile su quei fatti, la memoria, ma soprattutto il significato di quegli anni per la storia del nostro paese, non cada nell’oblio.
Per noi di lapsus questo sarà un impegno a cui cercare sempre di mantere fede. Perchè almeno nella memoria e nella sensibilità dei giovani, quelle vittime non siano state tali invano ed i responsabili di quelle stragi non siano per sempre considerati per ciò che non sono, nè mai saranno: innocenti.
Per comprendere appieno il fenomeno migratorio che riguarda il nostro paese è necessario indagare anche un lato nascosto a spesso taciuto dall’informazione, l’emigrazione di molti italiani in cerca di fortuna nel resto d’Europa e del mondo. “Vivo altrove” (Bruno Mondadori) della giornalista freelance Claudia Cucchiarato, dando spazio alle voci di molti giovani che hanno lasciato il nostro paese per vivere, studiare e realizzare se stessi in altri paesi, getta nuova luce su un fenomeno poco conosciuto ma in costante crescita.
Riportiamo di seguito un colloquio ( a distanza) con l’autrice del libro.
“Tutte le storie che si trovano in questo libro potrebbe raccontarle una mappa. Quella dell’Europa unita. Ma anche quella delle rotte aeree, ferroviarie, marittime. Le rotte che in tanti hanno seguito nei secoli scorsi. E che continuano a seguire, oggi, i nostrani viaggiatori inquieti, eredi della diaspora del Novecento. Questo libro parla di loro. Di giovani italiani in viaggio, con una mappa in tasca. Non di cervelli in fuga. Non solo e non necessariamente. Parla di persone, spesso laureate, che prendono un volo low-cost, una nave o un treno e oltrepassano i confini del nostro paese con poche cose nello zaino e molte aspettative in testa. Non hanno la valigia di cartone, sono ben diversi dai protagonisti del “grande esodo” a cavallo tra Ottocento e Novecento, e non vedono l’espatrio come un obbligo. È una scelta. Scelgono coscientemente, puntando il dito sulla cartina, di andare altrove. E poiché la loro è una rotta incerta, molto spesso casuale, si è deciso di seguirli secondo un ordine spaziale, più che causale. Li ritroverete come in una mappa, sparpagliati e in continuo movimento tra i quattro angoli di un continente dai confini fluidi. Nomadi in uno “spazio globale” la cui progressiva interconnessione erode i concetti stessi di frontiera,stato o territorio nazionale.”
Il 29 aprile abbiamo tenuto un interessante incontro in occasione dei 40 anni della conquista dello Statuto dei lavoratori. Di seguito potete scaricare ed ascoltare gli audio degli interventi ed un articolo di presentazione al seminario.
IL LAVORO NON E’ UN GIOCO!
A quarant’anni dall’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, che cosa è cambiato? Di fronte a uno statuto formalmente inalterato, una realtà lavorativa sempre più distante da quella degli anni in cui lo statuto venne conquistato. Quale futuro per le giovani generazioni?
relatori: Claudia Magnanini, docente di Storia dell’Europa contemporanea presso l’Università Statale di Milano; ascolta l’intervento Elena Lattuada, segretario generale CGIL lombardia; ascolta l’intervento Massimo Laratro, Avvocato Punto San Precario; ascolta l’intervento
La legge n. 300, meglio nota come “Statuto dei Lavoratori”, approvata il 20 Maggio del 1970, a seguito delle tensioni sociali e delle lotte sindacali della fine degli anni Sessanta, conosciute come la stagione dell’autunno caldo, ha rappresentato una svolta dal punto di vista sia politico che giuridico nel sancire positivamente alcuni dei diritti fondamentali del lavoratore e delle sue rappresentanze sindacali. Lo Statuto ha, infatti, portato i diritti del lavoro, solennemente proclamati nella Carta costituzionale del 1948, a fare il loro definitivo ingresso nelle fabbriche e nelle dinamiche quotidiane dei luoghi di lavoro. Una svolta determinante per l’effettività di principi e tutele di legge ancora gracili, spesso disattesi nei contesti lavorativi del tempo, quando un semplice “cenno del capo” consentiva al datore di lavoro di sbarazzarsi senza troppi problemi delle persone non gradite in azienda. Ed una svolta decisiva anche per la libertà e dignità di un lavoratore fino ad allora oggetto di interventi protettivi di impronta paternalistica. Senza alcuna possibilità di riscatto come persona, prima ancora che come protagonista dello sviluppo economico e sociale del Paese. Che significato ha, però, parlarne oggi, dopo 40 anni, in una situazione lavorativa che vede il problema della disoccupazione e del precariato in primo piano?
Sarà in libreria da martedì 11 maggio, per i tipi della Bruno Mondadori:
Vivo altrove.
Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi.
di Claudia Cucchiarato
Giornalista freelance che scrive per il Gruppo l’Espresso e L’Unità in Italia e per La Vanguardia in Spagna, da cinque anni residente a Barcellona.
L’autrice sarà in Italia per un giro di presentazioni che toccherà Roma (11 maggio), Padova (12 maggio), Milano (13 maggio) e Bologna (14 maggio): più sotto potete trovare tutti i riferimenti relativi agli incontri. Dal 1 maggio, invece, sarà online il blog www.vivoaltrove.it, dedicato appunto ai giovani migranti.
Il volume racconta le storie di giovani tra i 25 e i 40 anni che hanno deciso di lasciare il nostro Paese: non solo cervelli in fuga, certi di trovare all’estero opportunità migliori, ma anche ragazzi “normali” che sentono questa Italia troppo chiusa, ferma, asfittica, immobile, rivolta solo a se stessa.
Ragazzi cresciuti sentendosi cittadini del mondo, che male tollerano un Paese preso in mille guerriglie interne – politiche, geografiche, sociali, ma soprattutto generazionali – e che cercano all’estero opportunità che mai avrebbero in Italia.
Il libro raccoglie molte storie, ognuna con le sue particolarità e specificità, ma costituisce senza alcun dubbio il ritratto di una generazione. Tutti i dati confermano che il fenomeno della migrazione di giovani all’estero è in continuo aumento: secondo il consorzio universitario Alamlaurea, negli ultimi dieci anni il numero di laureati che si è spostato oltreconfine per trovare lavoro è triplicato, mediamente oltre il 3,5% dei nostri laureati si trasferisce ogni anno all’estero. È difficile fare statistiche su un fenomeno in continua evoluzione come quello di cui si occupa questo libro, ma si calcola ad esempio che i giovani italiani (tra i 25 e i 35 anni) attualmente residenti a Berlino siano all’incirca 6.000 e quelli residenti a Barcellona da meno di cinque anni siano circa 10.000.
Potremmo chiamarla “generazione Europa”, decine di migliaia di giovani che si spostano, prediligendo le grandi città e le capitali, le cosiddette “Eurocities”, dove approdano e da dove molto spesso ripartono, non alla volta del Belpaese, ma verso nuovi Paesi e nuove esperienze. Un generazione liquida.
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”
Questa dichiarazione è tratta da una relazione che l’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti scrisse nell’Ottobre 1912.