Gli anni spezzati: a proposito di abuso pubblico della Storia

Un paio d’anni fa, quando uscì Romanzo di una strage, pubblicammo una riflessione  circa i processi di semplificazione storica e di rimozione pubblica cui avrebbe dato luogo la visione della pellicola; ovviamente, quel film può essere compreso solo se inserito all’interno di quella che più volte abbiamo definito “strategia della confusione”, un’operazione volta a dissolvere in un grigio uniforme  anni cruciali della storia repubblicana. Poi, per fortuna, pochissimi andarono al cinema e il danno fu in una certa misura limitato (anche se per quanto una produzione cinematografica sia andata male prevede comunque la visione da parte di qualche centinaio di migliaia di spettatori: pochi per influenzare un’opinione pubblica per lo più confusa o indifferente, tanti in numeri assoluti).

Adesso un nuovo tentativo di ritrarre alcuni aspetti degli anni Settanta attraverso un linguaggio che il Gramsci sociologo avrebbe definito nazionalpopolare è proposto dalla miniserie televisiva in tre episodi intitolata “Gli anni spezzati” e in onda in questi giorni sulle reti Rai. Prima di entrare nel merito di questo nuovo caso è tuttavia necessario fare un piccolo passo indietro.

Sempre all’interno dell’analisi su Romanzo di una strage si accennava al complesso fenomeno storico e politico noto come “pacto de l’olvido”, ovvero patto dell’oblio. Riportiamo brevemente quanto scrivemmo per rinfrescarci la memoria:
“Il “patto dell’oblio”, al di là della Spagna, può essere considerato un fenomeno storico presente in tutte le società contemporanee, in particolare in quelle occidentali ed europee. L’alto grado di politicizzazione dell’opinione pubblica, da dopo la Rivoluzione francese in poi, ha caratterizzato gli eventi degli ultimi due secoli; numerosi sono stati gli episodi legati a scontri intestini ad una società fortemente polarizzata su due posizioni politiche di massima, in netta contrapposizione. Ogniqualvolta le due fazioni sono andate allo scontro c’è stata una parte vincente ed una sconfitta: ovviamente i vincitori hanno costruito un edificio istituzionale, politico e sociale ad essi conforme, cercando di estirpare qualunque resto dell’avversario dalla società, senza mai riuscirci del tutto. Passato un sufficiente periodo di tempo, per motivi anagrafici e politici, di solito si giunge ad una sorta di pacificazione interna tra i vecchi avversari che permette, nonostante le eredità politiche e la memoria continuino ad alimentare scontri e contrapposizioni, l’avvio di una fase nuova. Non stiamo dando un giudizio morale su quanto detto, stiamo descrivendo un fenomeno storico.

Anche l’Italia contemporanea ha avuto il suo patto dell’oblio. Su cosa? Non sulla Resistenza e sulla guerra di liberazione, sulla quale (almeno per tutta la Prima repubblica) c’è sempre stato un riconoscimento generale delle istituzioni e della società, quantomeno ufficialmente. Il vero patto dell’oblio la società italiana lo ha firmato sulla stagione delle stragi e dei mancati colpi di Stato, sulla strategia della tensione.”

Ora, da un punto di vista storico, Romanzo di una strage e Anni spezzati raccontano episodi diversi: anche se le prime due puntate della nuova serie hanno per protagonista il commissario Luigi Calabresi e quindi intrecciano inevitabilmente la storia di Piazza Fontana, lo spirito e le vicende narrate nei due episodi successivi riguardano una fase storica posteriore. Pur con tutte le criticità che abbiamo esposto, compreso il pericolo di veicolare una versione storicamente inattendibile della strage di Piazza Fontana, il film di Marco Tullio Giordana manteneva quantomeno una buona fede di fondo: attenendosi allo spirito di pacificazione interna sostenuto da Napolitano, fedele ai principi della memoria condivisa (posizioni che abbiamo sempre fortemente criticato perché sostanzialmente astoriche e con una base teorica molto debole), realizzato con l’ausilio di consulenti tecnici (sulla cui qualità sorvoliamo), Giordana semplificava, taceva vari aspetti della vicenda e, soprattutto, adottava un punto di vista forse inadatto a raccontare una vicenda così complessa (sarebbe stato molto meglio, visto il taglio, prediligere lo sguardo di Licia Pinelli), ma il quadro storico di riferimento poteva dirsi comunque credibile nelle sue linee fondamentali.

Qui cosa abbiamo, invece? Tre storie personali che vorrebbero raccontare, con pretese universalistiche, la vicenda nazionale dal 1969 al 1980: ancora una volta, attraverso un taglio intimista non esente da stilemi agiografici, si restituisce un’immagine degli anni Settanta che si risolve in un concentrato di paura, violenza, estremismo e fanatismo presentato come caratterizzante una precisa area politica: la sinistra radicale ed extraparlamentare. La Storia, qui, non ha importanza, viene banalizzata e ridotta a giudizio morale e politico di parte. L’obiettivo è costruire una damnatio memoriae sui presunti responsabili del sangue e del terrore, confusamente e scorrettamente ricondotti a una sola parte politica, a una sola etichetta, a un unico nome. Soprattutto, nessuno riflette sulla gravità assoluta di un particolare: questa mini-serie televisiva non è andata in onda su una rete privata, ma sulla Rai, che è la rete pubblica, ossia dello Stato e dei cittadini.

Scriveremo un secondo articolo per entrare meglio nel dettaglio dei numerosi errori e pasticci storici che le puntate presentano, ora ci vogliamo limitare a riflettere circa il significato di ciò che sta avvenendo: il patto dell’oblio italiano va ufficialmente sgretolandosi e paiono altresì rovesciarsi i termini delle responsabilità.

Abbiamo detto che in Italia questo fenomeno ha riguardato la stagione delle stragi di Stato (quindi lo stragismo di matrice neofascista puntellato dalla copertura di ampi settori delle istituzioni, degli apparati di sicurezza e dell’alleato americano). Un patto dell’oblio viene siglato quando, in un momento di profonda trasformazione politica, la parte che ha sostenuto l’aggressione e la parte che l’ha subita stabiliscono un’intesa, con il risultato di rimuovere dalla memoria civile ogni tipo di distinzione fra le parti, ogni tentativo di afferrare la complessità degli eventi, e il nostro patto nazionale ha avuto quale oggetto principe un terrorismo organizzato e avallato da settori dello Stato stesso: un fenomeno storico che ha minato pesantemente l’integrità della Repubblica. La lotta armata di sinistra, caso Moro a parte, ha influenzato gli equilibri di potere più che altro in quanto fattore di spinta per tutta una serie di provvedimenti e di reazioni (oltre a conseguenze culturali molto trascurate) che sono andate ben oltre il limitato campo del terrorismo rosso, ma non ha mai avuto reali possibilità di colpire seriamente i centri nevralgici dello Stato o del potere economico.

Non a caso, sia le inchieste parlamentari che le ricostruzioni storiche succedutesi negli anni preannunciarono un’imponente operazione di uso pubblico della Storia che avrebbe riguardato non le Brigate rosse o il variegato universo del terrorismo di sinistra, ma proprio la “strategia della tensione”. Quasi a sancire l’ufficialità del patto la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi, dopo anni di indagini e di interrogatori, giunse ad un sostanziale nulla di fatto.

Ora, però, pare che quel tacito accordo non solo sia in fase di destrutturazione, ma venga addirittura sottoposto a significative distorsioni semantiche: la produzione della Rai rappresenta solo uno dei passaggi di questo processo, testimoniato da numerosi interventi pubblici di esponenti politici e istituzionali e da una pubblicistica sia scolastica che specialistica confusa, piena di errori e metodologicamente più che discutibile. L’opposto dell’oblio è il ricordo ed esattamente come ci insegnano psicologia e storia sociale gli individui e le collettività, all’indomani di un trauma, attuano, spontaneamente o volontariamente, tentativi volti a costruire una memoria selettiva: in questo caso si tratta di dimenticare volutamente una parte centrale di quel periodo storico (con tutto il suo corollario di vicende, responsabili, processi), riscrivendola sotto il segno di un unico colore: il rosso. Da questo punto di vista, dobbiamo dedurre che tutte le parti politiche (anche quelle che vedono al loro interno membri non estranei a quella stagione) sono d’accordo e che, quindi, lo Stato ha scelto definitivamente quale causa difendere e da che parte stare.

Riassumiamo brevemente la lettura suggerita da questa trilogia pubblica: nel 1969 inizia una stagione di paura, incarnata da terrorismo ed estremismo di sinistra che hanno l’obiettivo di annientare lo Stato; grazie al contributo di uomini generosi, appartenenti a rispettabili categorie lavorative, che vivono in un triangolo industriale caratterizzato da fortissime tensioni sociali (un commissario di polizia di Milano, un giudice di Genova e un dirigente della Fiat di Torino), pronti a sacrificarsi per la nazione, si riesce a superare una fase storica intrisa di follia fanatica per giungere alla trionfale marcia dei Quarantamila, consacrata quale punto d’avvio di una riacquistata stabilità e di un’era di crescita e benessere per l’Italia. Proprio il 1980 segna la fine della stagione dei movimenti, degli ultimi propositi di riformismo sociale nati dai programmi politici e sindacali degli anni Sessanta, nonché l’inizio del declino sindacale e dell’egemonia neoliberista. Sarà un caso?

Molto probabilmente questa trasmissione non sarà un successo, proprio come Romanzo di una strage: nell’oblio e nella confusione che ancora domina la memoria di quegli anni, questi non sono temi particolarmente amati, soprattutto tra i più giovani. Ci sembra però importante parlarne proprio perché questi prodotti rappresentano l’epifenomeno di una tendenza più radicata e pericolosa, che adesso le istituzioni sembrano avallare con maggiore disinvoltura; soprattutto, questo sostegno pare non passare più soltanto da un ambiguo e generico ricordo o dalla commemorazione delle “vittime” degli anni Settanta, ma dall’adesione istituzionale a una lettura storica precisa e al punto di vista di chi la promuove.
Di fronte ad un così sfacciato abuso pubblico (in senso letterale) della Storia pensiamo che non l’apatia travestita da neutralità, ma la critica serrata sia il primo dovere degli storici.

Elio Catania, Associazione Lapsus

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Martino Iniziato

Laureato in scienze storiche presso l’università degli studi di Milano con una tesi su Ronald Reagan, ha imparato a fare siti internet quasi per gioco e lo ha trasformato in un quasi-lavoro. Un po' giornalista, un po' cameriere, un po' promotore d'eventi culturali è tra i fondatori dell'Associazione Lapsus e si rivede molto nella definizione springstiniana di "Jack of all trade": tuttofare. Tra le altre cose, è il curatore di questo sito per conto di Tanoma.it. Su twitter è @martinoiniziato

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