Notte dell’Immacolata 1970.
La notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 reparti dell’esercito affiancati da militanti neofascisti entrano in mobilitazione per prendere possesso dei centri nevralgici del potere in Italia: si muovono per occupare la Capitale, ma anche le principali città del paese, come Milano. I congiurati arrivano nell’armeria del Ministero dell’Interno; si concentrano di fronte alla sede nazionale della Rai e al Ministero della Difesa; giungono alle porte di Sesto San Giovanni: in fase avanzata, però, arriva il contrordine e i golpisti si ritirano. Il giorno dopo, il paese si risveglia completamente ignaro dell’enorme rischio corso. Il progetto era portato avanti nominalmente dal principe Junio Valerio Borghese, ex comandante della divisione fascista X Mas ai tempi di Salò e fondatore del movimento eversivo Fronte Nazionale, avente legami con parte dell’esercito e dei servizi segreti. La notizia del tentato golpe sarà resa nota all’opinione pubblica solo il 18 marzo 1971, attraverso un articolo uscito su Paese Sera.Da quel momento partono le inchieste, si susseguono dichiarazioni, silenzi e smentite, ma la direzione delle indagini (giudiziarie e giornalistiche) è una: nulla di veramente grave, si è trattato semplicemente di un “golpe da pensionati”, una buffonata su cui farsi una risata. E, purtroppo, la memoria collettiva di quell’evento ha tramandato fino ad oggi questa versione terribilmente ingenua e riduttiva.
Un’analisi storicamente onesta dei fatti, svolta basandosi su prove e verosimili ipotesi venute fuori nel corso di decenni di ricerche, processi e indagini, può provare a ricostruire le genesi di un episodio centrale della nostra storia recente. Il “golpe Borghese” si inserisce all’interno della strategia della tensione, “inaugurata” poco meno di un anno prima dalla strage di Piazza Fontana a Milano: sappiamo che già in pieno svolgimento dell’azione, il gen. Vito Miceli, capo del Sid, copre i golpisti e terrà segrete le informazioni al riguardo all’interno di una ristretta cerchia di persone (molte delle intercettazioni telefoniche di congiurati fatte dal servizio saranno consegnate alla magistratura solo a inizio anni ’90); dalle dichiarazioni di Adriano Monti, uomo di contatto tra ambienti golpisti italiani e gli americani, e dai documenti desecretati dai servizi statunitensi, sappiamo che importanti esponenti dell’intelligence e del governo Usa erano a conoscenza del progetto e diedero il loro avvallo; quanto emerso durante udienze della Commissione d’Inchiesta sulla P2 rivela il ruolo attivo svolto dalla massoneria nella vicenda e in particolare da Licio Gelli, collegamento con il vasto e articolato ambiente anticomunista favorevole ad una soluzione autoritaria; il pentito di mafia Tommaso Buscetta ha rivelato il coinvolgimento anche della criminalità organizzata nel sud, in quanto manovalanza repressiva contro la sinistra.
E’ inoltre indubbia la partecipazione volontaria di vertici e reparti dell’esercito all’azione diretta la notte del 7 dicembre e la successiva copertura dei suoi uomini coinvolti; infine, lo stesso mondo politico doveva essere a conoscenza del progetto golpista, almeno nei suoi vertici istituzionali. Insomma, i congiurati avevano alle spalle l’appoggio di numerosi soggetti e gruppi in collegamento tra di loro e formanti il cosiddetto “partito del golpe”, erano forniti di una capillare e radicata organizzazione pronta ad entrare in azione in tutta Italia al momento opportuno. Come mai allora in piena notte e con la macchina eversiva già in moto, Borghese trasmette l’ordine di annullamento e ritirata? E da chi riceve quell’ordine?
Vi sono tre versioni prevalenti: la prima è data dalla teoria secondo cui si sarebbe trattato di un “colpo di avvertimento” dato alle sinistre e ai settori antigolpisti dello stato; la seconda fornita dalle testimonianze del neofascista Paolo Aleandri e dell’ex colonnello Amos Spiazzi, secondo cui l’insurrezione di Borghese e dei suoi avrebbe dovuto funzionare da pretesto per emanare leggi speciali, instaurare un governo autoritario, a guida Dc, appoggiato dagli americani, eliminando politicamente e fisicamente la minaccia comunista in Italia; si sarebbe dunque trattato di una trappola per l’ex comandante della X Mas e per i congiurati, la cui azione sarebbe stata repressa dal pronto intervento dei carabinieri e dei reparti meno estremisti dell’esercito. La terza versione, data da una presunta lettera-testamento dello stesso Borghese (non esiste la certezza della sua autenticità, ma, come nota Aldo Giannuli, l’autore dimostra di essere al corrente di molti aspetti non noti dell’organizzazione) in cui questi fornisce una dettagliata vicenda dei fatti, indica il motivo della ritirata in una fuga di notizie che avrebbe avvisato uomini politici e militari della sinistra del tentativo dei congiurati, causando quindi l’annullamento delle operazioni grazie al fatto che Miceli avrebbe avvertito Borghese.
Il corollario di prove e argomentazioni intorno al motivo di interruzione del colpo di stato, individua sempre comunque un nome: Giulio Andreotti, indicato come uomo di fiducia degli americani, annunciato come guida dell’ipotetico governo post-golpe. L’ordine sarebbe giunto a Borghese o da Licio Gelli o da Andreotti stesso.
Se una verità e una denuncia storica possono essere forniti, purtroppo ancora una volta la magistratura italiana ha invece negato una verità giudiziaria: l’esito dei processi e dei decenni di lavoro investigativo è, una volta di più, l’assoluzione completa di tutti gli imputati. Ha prevalso la teoria del “golpe da operetta” organizzato da alcuni “pensionati” nostalgici del fascismo. Eppure ci piace ricordare che non tutti crederono alle menzogne di stato e mediatiche; che ci fu anche in quell’occasione il moto di quella parte sinceramente democratica e antifascista della società civile, contro cui erano dirette le stragi e i tentati colpi di stato, per difendere le precarie e troppo spesse tradite conquiste della Resistenza, per portare avanti un rinnovamento politico e culturale del paese iniziato con le lotte degli anni ’60 e sempre minacciato negli anni a venire.
Quando il 18 marzo ’71 si rese noto il progetto golpistico di Borghese, ci fu grande confusione e sembrava che il colpo di stato stesse avvenendo in quelle ore: molti dei giovani militanti di sinistra di allora ricordano oggi che la reazione fu pronta e ci si organizzò in breve tempo, pronti ad affrontare i militari e i fascisti, ritrovandosi tutti insieme (Pci, Psi, sinistra extraparlamentare) ad organizzare la difesa delle proprie sedi e militanti e dei cittadini antifascisti. Poi il golpe non arrivò, ma le dure prove continuarono negli anni a venire. Ci piace ricordare quest’immagine, come quella dell’Italia migliore che mai si arrese permettendo a noi oggi di fare luce sui presunti “misteri” di quegli anni, che misteri non sono, individuare e denunciare le responsabilità, affrontare la società odierna storicamente figlia di quegli anni.
Bibliografia utile:
Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, Sperling&Kupfer 2010
Aldo Giannuli, Bombe a inchiostro, Bur 2008
Andrea Sceresini, Nicola Palma, Maria Elena Scandaliato, Piazza Fontana noi sapevamo, edizione Aliberti Editore 2010
Gianni Flamini, L’Italia dei colpi di Stato, Newton Compton 2007
Adriano Monti, Il golpe Borghese. Parola d’ordine Tora Tora : un golpe virtuale all’italiana, Editore Lo scarabeo, 2006
a cura di Elio Catania, La.p.s.u.s.
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