Lezione 1: una panoramica delle diverse scuole storiografiche.
Relatore: Professor Andrea Panaccione, Università di Modena e Reggio Emilia
a cura di Elio Catania, La.p.s.u.s.
Riguardo la storiografia contemporanea novecentesca, il dibattito può esser fatto risalire agli anni ’80 del XIX secolo, quando in Germania si sviluppò un fenomeno di reazione al positivismo storicistico (secondo cui l’attività storica è semplice e pura elencazione e raccolta di fatti) dominante fino ad allora: lo Storicismo. Questo movimento rivaluta la soggettività dello storico e vede nella sua attività, fatta quindi di un’interazione attiva tra storiografo e fatti storici, la chiave per comprendere il contesto socio-politico dello studioso stesso. Uno dei presupposti fondamentali è comprendere che gli storici sono inevitabilmente influenzati dagli eventi che vivono; gli avvenimenti più recenti mutano anche i modi del fare storia e i significati, le idee e gli strumenti concettuali utilizzati nell’analisi storica della contemporaneità; determinate congiunture si legano ai metodi di studio e al modo di percepire la costante tensione passato-futuro presente nel contemporaneista.
Lo Storicismo può essere suddiviso in due correnti principali, affermatasi tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900: tedesco-contemporanea e italiano-idealistica. La prima parte dall’assunto che lo storico definisce un campo e una metodologia particolari; gli storicisti tedeschi distinguono tra mondo naturale e mondo culturale, storico-sociale, distinzione ripresa poi da Max Weber nella sua lettura della realtà sociale come dominata da un “politeismo di valori” in contrasto tra loro, in cui compito dello scienziato storico non è quello di indicare la via migliore e più giusta, ma definire l’oggetto e il contenuto dell’analisi storica sulla base della avalutatività del metodo scientifico. La scienza sociale (compresa quella storica) non individua regolarità e modelli assoluti, ma è sempre scienza del particolare, da elaborare in concetti costruiti di volta in volta.
Lo storicismo italiano-idealistico, invece, ha tra i suoi più noti esponenti Benedetto Croce: su un’impostazione hegeliana, egli legge l’identità di storia e filosofia nel loro ruolo di descrizione e manifestazione dello spirito universale; lo storico deve dunque privilegiare le grandi idee e le grandi figure della storia umana, scelte dallo studioso stesso, fornito di una ben precisa formazione filosofica.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale, con tutti gli sconvolgimenti sociali e gli eventi politici ad essa collegati, avrà conseguenze radicali anche nell’ambito storiografico. Due scuole su tutte si affermano, in parte anche come reazione allo storicismo tedesco ed italiano: quella marxista e quella francese degli Annales. Pur nelle loro differenze, sono accomunate dalla volontà di trasformare la storia in una scienza capace di individuare regolarità all’interno dei fenomeni sociali: anche lo storico si pone la domanda “perché?” e ricerca le molteplici cause che hanno potuto produrre il fenomeno analizzato.
In particolare, la scuola marxista ha alle sue spalle una solida dottrina politica e culturale, nel primo dopoguerra (soprattutto dopo la rivoluzione d’Ottobre del 1917) in ascesa nella società e con forti influenze nei diversi ambiti di studio. Elemento chiave per comprendere il metodo e il fine della storiografia marxista è la teoria del materialismo storico, elaborata da Marx a partire dalla “Critica all’economia politica” e sviluppata dai socialisti e i comunisti a lui successivi: semplificando, in un’ottica che vede nei processi economico-produttivi la base di ogni altro fenomeno sociale, politico e culturale (fondamentale la distinzione e il rapporto struttura-sovrastruttura) e nella lotta tra classi sociali antagoniste il motore dell’evoluzione storica stessa, lo storico marxista legge gli eventi, dal passato più remoto alla contemporaneità, nelle loro cause economiche e dovute a precisi rapporti di proprietà. Quindi anche riconosciendo il ruolo delle masse, senza escludere il compito svolto da alcune grandi individualità. Soprattutto è capacità di vivere sempre, come disse Lukacs, “il presente come storia”: ogni azione umana determinata da ciò che l’ha preceduta e inserita in un più vasto quadro storico, rivolto al futuro. Il tutto in un’ottica collettiva e di analisi scientifica dei rapporti di produzione e dei fenomeni sociali; nel marxismo resta la convinzione che la storia abbia una precisa necessità e una direzione, che porterà infine alla società libera ed emancipata. Al di là della prospettiva più filosofica legata al presunto senso della storia, la scuola marxista diede un grande contributo alla storiografia, sia nel metodo di analisi sociale, sia nella rivelazione della necessità di studiare la sfera del politico in quanto fondamento della convivenza umana.
La scuola degli Annales, invece, nata nel ’19 attorno all’omonima rivista fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre, ha prospettive e radici culturali ben diverse. Gli annalisti infatti non sono storici “militanti”, non hanno alle spalle nessun grande pensiero politico, ma anche loro sentono l’insufficienza dello storicismo dopo la Prima guerra mondiale, percepito come devastante fenomeno sociale e fattore di trasformazione. Ciò da cui gli annalisti partono, dunque, non sono radici culturali o storiografiche più antiche, ma la pratica del lavoro e studio sul campo. La loro storiografia può essere definita: “totale”, in quanto presuppongono di studiare e comprendere tutti i fenomeni umani nella loro dimensione temporale (non solo la politica o l’economia, ma anche le mentalità collettive ad esempio), tramite tutte le fonti, le “tracce” di questi; “totale” anche nel metodo, ovvero teorizzano la collaborazione della scienza storica con le altre scienze sociali, del cui contributo si servono (geografia, psicologia, economia, sociologia). Inoltre possiamo definirla anche scientifica, in quanto ricerca leggi e regolarità, e strutturale: qui “struttura” ha un significato più ampio di quello marxista e riguarda soprattutto le mentalità e le grandi rappresentazioni culturali collettive. Importante contributo dato dagli Annales alla storiografia è pure il concetto di tempo: nella realtà umana vi è una pluralità di tempi, con durate differenti, a seconda del fenomeno che riguardano (il tempo geologico è diverso da quello politico-sociale, così come da quello individuale), tutti però all’interno di un più vasto concetto generale di tempo della storia.
Queste due grandi correnti sono accomunate, oltre che dagli elementi già descritti, anche da un’idea di storia non innocente: l’analisi storiografica deve andare oltre le impressioni e le percezioni soggettive e parziali, e porsi con criticità di fronte ai fatti e alle fonti che di quei fatti testimoniano; secondo Braudel, vi è sempre un’intenzione, una volontà dietro ad ogni documento, che deve essere letto con criticità. La storia non è mai mera registrazione della realtà, ma destrutturazione e comprensione di questa. Gli dobbiamo inoltre il solido e necessario rapporto tra storia e scienze sociali: le società sono particolari economie, configurazioni geografiche, modi di pensare; nello studio di un periodo, il mestiere dello storico si avvale di contributi non storiografici, se vuole essere scientifico. Ma il rapporto è mutuo: anche le altre discipline sono influenzate dall’analisi e dai prodotti storiografici (ad esempio, nella geografia, il mondo in cui si descrivono i continenti sono influenzati dai modi in cui si descrive la storia).
Alcune questioni che oggi si pongono agli studiosi di storia:
1) il problema dei testimoni: a partire soprattutto dagli anni ’60 del ‘900 è iniziato un radicale e diffuso feticismo di documenti e testimonianze varie; nell’ottica di trasformare la storia anche in un’attività di massa, ricercando il coinvolgimento massimo delle popolazioni nelle ricorrenze ufficiali di determinati eventi o nella costruzione di una memoria condivisa e pretesa neutrale, si è verificata la pericolosa tendenza ad accettare qualunque fonte acriticamente: fondamentale è recuperare la criticità degli Annales nei confronti dei documenti, riuscendo anche a inquadrare meglio il rapporto storia-memoria, la memoria può infatti essere considerata la fase iniziale su cui poi lo storico dovrà lavorare.
2) Uso pubblico o politico della storia: da sempre il potere ufficiale ha cercato di legittimarsi attraverso narrazioni storiche favorevoli, radicate nella mentalità collettiva; gli sconvolgimenti del ‘900 hanno però cambiato la funzione dell’uso pubblico della storia, utilizzato per imporre una rappresentazione del proprio passato da parte di tutti i regimi novecenteschi (compreso quello democratico) che fosse legittimante del potere politico.
3) Infine, i cambiamenti culturali e tecnico-scientifici comportano una necessaria innovazione nel fare storia: si impone il bisogno di una storiografia non più eurocentrica, ma mondiale e globalizzata; lo storico deve imparare a lavorare con una serie di strumenti tecnologici nuovi.